Al servizio dell’altro, Nuove competenze di Leadership

Vorrei iniziare questo articolo con le parole di Jerome Liss, uno dei fondatori della Società Italiana di Biosistemica:

Quando le persone ricevono aiuto, sanno di essere amate. Quando le persone danno aiuto, sanno di amare, e questo basta a rendere la vita degna di essere vissuta.

Ho ripensato a questa frase al termine di una sessione di formazione interaziendale rivolta a Team Manager, durante la quale ho potuto sperimentare quanto “l’isolamento emotivo” possa creare pensieri e sentimenti di inadeguatezza in chi ricopre il ruolo di guida per altre persone. Senza confronto, scambio, richiesta di comprensione e ascolto profondo si rischia di non elaborare i vissuti emotivi e quindi di creare pensieri di chiusura e difesa verso l’altro che diventa il “diverso”, quello che “si esclude”, il cosiddetto “caso problematico” da gestire.
Di seguito riporto alcune riflessioni tratte da un testo di Jerome Liss che possono guidarci nella comprensione di ciò che accade e sostenerci nel trovare soluzioni concrete nella nostra vita professionale e privata:

l’isolamento crea nella nostra mente dei circoli viziosi (quando non riusciamo ad esprimere a parole quello che proviamo, spostiamo a livello cognitivo ciò che dovrebbe essere sentito ed analizzato a livello corporeo/emotivo e così per difenderci “razionalizziamo” e “giudichiamo” l’altro o gli eventi come soli responsabili del nostro malessere); la condivisione di paure, timori, sensazioni con altre persone ridimensiona il problema e aiuta a trovare una linea d’azione (semplicemente “raccontando” cosa si prova rispetto ad una persona o situazione, liberiamo energia, il racconto stesso diventa “cura di sé”); attenzione agli “accumuli energetici” dovuti alla repressione emotiva (ricordiamoci della relazione fra blocchi energetici e malattia); il disordine nella nostra vita esterna ci impedisce di affrontare il disordine del nostro mondo interiore – bisogna calmare o liberare l’agitazione dei nostri pensieri (molto importante, in quanto i nostri pensieri, come la fisica quantistica ha dimostrato, hanno il potere di influire sulla realtà); attenzione alla nostra mente critica o coscienza giudicante (si trova al confine tra mente cosciente e subconscio ed è pronta a giudicare sempre quello che stiamo pensando o cercando di fare, impedendoci di ascoltare la nostra intuizione profonda).

In base a queste osservazioni l’autore propone come metodo per superare impasse emotive, la realizzazione di sessioni di Collaborazione Reciproca, della durata complessiva di un’ora, in cui due persone si raccontano una all’altra, assumendo alternativamente il ruolo di Ascoltatore e Protagonista (mezz’ora per ognuno). L’autore le suggerisce all’interno di un contesto di Co-Counseling (Counseling Reciproco), che può essere rivisitato in chiave aziendale e gestito da Manager che coordinano persone e debbano essere in grado di facilitare la “relazione” fra le stesse in un’ottica di bene-essere. In azienda il Manager potrebbe utilizzare l’intera ora per lavorare con il collaboratore che porta il “problema”, senza scambio effettivo dei ruoli come previsto nella Collaborazione Reciproca (l’Ascoltatore comunque lavora su se stesso attraverso lo scambio con l’altro). Obiettivo di queste sessioni è quello di creare uno spazio-tempo di racconto e ascolto, al di là del giudizio e del consiglio, per aprirsi all’altro e alla ricerca di nuove e funzionali soluzioni del “problema” (l’approccio utilizzato è ti tipo fenomenologico). Chiave di volta dell’incontro è rappresentato dall’uso da parte dell’Ascoltatore di domande volte ad esplorare l’esperienza vissuta, via maestra per la ricerca di nuove soluzioni. La sessione di Collaborazione reciproca può iniziare con alcuni minuti di silenzio e respirazione profonda mirata a ritrovare la calma e il “qui e ora” della mente e del corpo (esistono tecniche legate alla mindfulness) per poi passare, da parte del Protagonista, all’esplicitazione di eventi, riflessioni ed emozioni relative al problema percepito. L’Ascoltatore potrà utilizzare alcune tecniche biosistemiche quali: la ricerca della concretezza, chiedendo al Protagonista di portare esempi specifici (è importante che si lascino da parte affermazioni generiche e stereotipate); l’attenzione alle parole–chiave, cioè a quelle
parole che portano con sé profondi vissuti emotivi legati agli schemi cognitivi e comportamentali utilizzati fino a quel momento dal soggetto e che non sono più funzionali alla ricerca di efficaci soluzioni); l’accompagnamento empatico alla scoperta di nuove soluzioni di gestione della relazione “problematica” e la sperimentazione delle stesse tramite drammatizzazioni e giochi di ruolo.
Questo magico processo potrà veramente creare vitalità e benessere cognitivo ed emotivo e solo… in un’ora!

Fabiana Boccola

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *