Allarga la visuale e comunica ciò che sei!

Basta con i corsi che ti promettono di imparare a decodificare i microsegnali del viso dell’altro, vanno bene per le serie televisive, tipo “Lie to me”, ma non per la vita di tutti i giorni, quella vera che non è quella dei professionisti della polizia impegnati a scovare bugie e inganni in nome della giustizia umana.

Un effetto di questa eccessiva attenzione al particolare che viene analizzato decodificato e interpretato porta ad una disconnessione fra mente e corpo.

Se analizzo con la mente, utilizzo una mappa che non coinciderà mai con il territorio (la cartina geografica non è il paesaggio attraverso il quale sto guidando o passeggiando), come cita il filosofo Alfred Korzybski, quindi mi focalizzerò sull’altro per scinderlo, scomporlo adattarlo alla mia mappa mentale, decidere cosa posso ottenere da questa relazione e quindi adattare il mio comportamento in ragione dei miei obiettivi.

Che ne dite? Quale è il vantaggio secondo voi? E quali le controindicazioni?

Il vantaggio è pensare di sentirsi al sicuro da errori e incomprensioni e di credere di riconoscere e poter controllare le mille sfumature dell’altro, ergo, ottimo per gli insicuri e i troppo sicuri di sè.

La controindicazione è una sola: perdersi la luminosità e ricchezza unica e particolare che emana da una comunicazione fra esseri umani, cangiante e multilivello.

Cosa porta invece ad allargare la visuale e ad imparare da ogni relazione in qualunque momento?

Esserci totalmente, accogliendo i movimenti interiori in connessione con l’altro, dicesi atteggiamento empatico di cui siamo già dotati alla nascita, modulando momento per momento la nostra comunicazione, le nostre parole e le nostre azioni, non in base a ciò che vediamo ma a ciò che sentiamo insieme.

Allarga la visuale, incontra l’altro come fosse la prima volta, come un funambolo o un surfista, competenti, preparati, allenati e nello stesso tempo totalmente presenti a se stessi, pena il cadere da una grande altezza o farsi travolgere dalle onde!

Fabiana Boccola

Agire in trance: quando l’inconscio prende il comando

Nella nostra giornata viviamo per circa il 95% in trance, ovvero in una stato alterato di coscienza.

Parcheggiamo la macchina e il giorno dopo giriamo come automi sotto casa, rivisitando i posti dove forse l’abbiamo lasciata; oppure mentre saliamo le scale di casa inciampiamo in un gradino lasciando cadere il cellulare sul quale stavamo leggendo gli ultimi messaggi ricevuti; oppure ci chiediamo dove abbiamo messo quel libro, che non troviamo più ma che sappiamo essere in casa; oppure compriamo quel vestito e poi ci rendiamo conto che non ci piace mica tanto.

E potrei continuare con mille altri esempi. Potremmo giustificarci dicendo che abbiamo poca memoria, che abbiamo sempre mille cose da fare e poco tempo, che inciampare “capita, mica significa qualcosa” e così via.

La nostra inveterata abitudine inconscia a trovare all’esterno, nell’ambiente o nelle altre persone la causa di questi piccoli e innocui “incidenti”, ci porta a continuare ad agire in uno stato alterato di coscienza. Intendo dire che non siamo pienamente consapevoli e presenti nel qui e ora delle nostre azioni. Ci affidiamo al “pilota automatico” e ci rinchiudiamo nella gabbia dorata dei nostri pensieri, affastellati, in continuo movimento, nello spazio e nel tempo, che ci scindono dal nostro corpo che abita sempre e solo nel presente, nell’adesso.

Quindi il risveglio passa da un atto di volontà, che ci permette di accorgerci di questi meccanismi inconsci ed automatici, di portare la nostra attenzione su quello che si sta facendo ora e sui pensieri che si stanno generando, permettendo a noi stessi di creare un piano di allenamento alla presenza cosciente nel qui e ora. Ma questo non basta, l’altro passaggio fondamentale riguarda il lasciare andare vecchie credenze e convinzioni limitanti “nascoste” che non apportano gioia e successo ma appesantiscono, nell’individuarle intenzionalmente e sostituirle con valori e guide interiori aggiornate e potenzianti.

Ma questo non basta, se non impariamo ad abitare il corpo, ad entrare in connessione con la materia del nostro corpo, nel sentirne la densità, la flessibilità, la forza, la vulnerabilità, la vibrazione e il suono, per scoprire come agire per soddisfare i nostri bisogni, per raggiungere i nostri obiettivi e desideri, dell’adesso e del futuro che vogliamo creare.

Sì, questo è un agire imprescindibile per prendere in mano la nostra vita!

Fabiana Boccola

Noi… Tutti Eroi dai Mille Volti

Giorni fa “l’illuminazione” davanti allo schermo televisivo: “caspita quanti film hanno per protagonisti personaggi con storie familiari a dir poco complesse e sfidanti”. Amo molto il genere fantasy e la fantascienza, insomma tutto quello che porta la realtà ad un livello altro (anche se non amo etichettare quelli che considero capolavori della cinematografia, che nascano dalle storie raccontate in un libro oppure da una geniale sceneggiatura) ed è stato molto interessante per me focalizzarmi sul fatto che i protagonisti-eroi presentano costellazioni familiari molto particolari. 

Luke Skywalker, abbandonato e cresciuto dallo zio che ha sempre taciuto la sua ascendenza, a dir poco controversa  (suo padre è il mitico Darth Vader, il cattivo con problemi respiratori, icona dei fans della trilogia) che scopre ormai adulto di avere anche una gemella vip – la principessa Leila); Frodo, il protagonista del Signore degli Anelli, orfano, allevato dallo zio materno Bilbo Baggins; Harry Potter, il mago più famoso al mondo, orfano e cresciuto nella famiglia della zia in condizioni di rifiuto e potremmo dire “violenza domestica”; Katniss Everdeen, l’eroina di Hunger Games, che inizia la sua pericolosa avventura per salvare la sorella minore; Beatrice “Tris” Prior e Tobias “Quattro” Eaton i protagonisti di Divergent, di cui vi consiglio la visione e magari la lettura della trilogia di Veronica Roth, che lasciano la famiglia per trovare la loro strada portandosi sensi di colpa e rabbia per questo….e tanti altri che non cito solo per non allungare troppo l’elenco (da ora in poi sarò in modalità radar per altre situazioni simili e vi terrò aggiornati, promesso).

Questi eroi alla Joseph Campbell (vedi il meraviglioso libro “L’eroe dai mille volti” del grande studioso di antropologia e psicologia analitica del profondo * ) ci raccontano che la nostra vita può essere “condizionata” dalla storia della famiglia in cui nasciamo, dagli insegnamenti che riceviamo, dai disagi di varia entità che subiamo, ma che tutto questo può davvero diventare la Forza che ci guida e accompagna (il riferimento a Guerre Stellari non è puramente casuale) a ritrovare l’Amore che ci ha generati e catapultati in questo mondo, perché un Senso e una Missione particolare aspettava solo noi!

Nel prossimo articolo, approfondirò il tema raccontandovi uno strumento molto particolare e magico per ridisegnare il nostro progetto di Vita e non solo: le Costellazioni Familiari.

Fabiana Boccola

*  «Senza “L’eroe dai mille volti” probabilmente starei ancora scrivendo  ‎”Guerre Stellari‬”». George Lucas 

Lo Strano Caso del Dottor Jeckyll e Mister Hyde

Il più famoso Bianco e Nero letterario, Dottor Jekyll e Mister Hyde, Luce e Ombra, Buono e Cattivo, Visibile e Invisibile e molto altro.

Un famoso psicoanalista, che io considero un grande Alchimista, Carl Gustav Jung, diceva che l’Ombra smette di farci paura e di condizionarci quando la vediamo, la interroghiamo e la integriamo, solo così possiamo ritornare Interi e cominciare a fare scelte libere su chi Essere e come Essere.

Dottor Jekyll aveva bisogno di Mister Hyde e Mister Hyde non poteva esistere senza il Dottor Jekyll… che Personalità indosso oggi? Forse questa è la domanda che l’autore del   testo non si è esplicitamente fatto ma che sicuramente aleggiava nel suo inconscio. Che Personalità indosso oggi? In base alla nostra scelta conscia il corpo si atteggerà in un certo modo e chiederà un certo abito, un certo accessorio, un certo profumo, un certo colore o combinazione di colori.

Il Bianco simbolicamente richiama la Luce, la purezza e la spiritualità, la perfezione, la libertà, la saggezza, ed è il colore di un Nuovo Inizio. Il Nero simbolicamente è il colore dell’Ombra, delle tenebre primordiali, dell’inconscio, del Nulla, dell’assoluta negazione, dell’oscurità e del disordine, dell’occulto, il “lato oscuro della forza”.

Il Bianco e il Nero, due polarità che scindono, separano, che attivano due Personalità, due facce della stessa medaglia, pronte ad essere viste e agite, riconoscendone i doni e i talenti, ora l’una, ora l’altra oppure, perché no, insieme, divertendoci a spiazzare gli altri che pensano di conoscerci e di poter prevedere i nostri comportamenti!

Fabiana Boccola

I Buoni Propositi

Settembre, un mese particolare, arriva dopo agosto, mese del famolo strano, alla Carlo Verdone, del “stacco con tutti i casini che ho e ci ripenso dopo le ferie”… come se fosse possibile staccare la spina e poi reinserirla, come faccio con il computer da cui vi sto scrivendo.

Ci piacerebbe ma non è possibile, per fortuna dico io, il nostro corpo vive nel qui e ora e sente, si emoziona, si eccita, si deprime, si stanca, salta di gioia e grida… e soprattutto ci tiene nel presente.

Il problema nasce quando la mente ci porta “fuori dal nostro corpo” e ci allontana dal momento che stiamo vivendo prefigurando scenari, il più delle volte alla Quentin Tarantino, tanto per capirci tipo: “domani al lavoro ritrovo un casino indescrivibile”; “se incontro quel collega che faccio? Lo uccido o ci parlo?”; “come mi organizzo con gli impegni familiari e professionali?” “scappo da casa questa volta”; “non ce la faccio a riprendere con tutto questo casino”; “mamma mia, ma chi me lo fa fare”; “se emigro in Australia forse non mi trovano”, e così via…

La nostra cultura occidentale è da sempre una cultura del fare, così la mente è impegnata e ci allontana dal sentire del corpo, il messaggero della nostra parte più profonda, saggia, in connessione con il nostro progetto di vita, la nostra spiritualità. E così facendo innesca la spirale dell’ansia e della preoccupazione e gli scenari si fanno sempre più complicati e tolgono il fiato.

“Bene adesso che riconosco tutto questo cosa ci faccio?”, vi starete chiedendo, allora vi faccio una proposta indecente cominciamo il nostro settembre, caratterizzato dal numero 9 (nelle carte dei tarocchi il numero 9 corrisponde all’Eremita, il saggio, la guida, la ricerca solitaria della propria via e illuminazione, e in numerologia i 9 indica la fine di un ciclo e l’inizio di un altro) dedicando 5 minuti al giorno al respiro consapevole ad occhi chiusi in silenzio, inspiriamo ed espiriamo pensando solo “io esisto” e lasciamo che il nostro respiro ci permetta di entrare nello spazio della presenza e della consapevolezza; poi contattiamo il nostro cuore sempre ad occhi chiusi, respirando consapevolmente, e mentalmente diciamo “grazie” per ciò che abbiamo e per ciò che siamo, espandendo il senso di gratitudine in tutto il nostro corpo attraverso il respiro; infine riapriamo gli occhi, ci allunghiamo e stiriamo e riprendiamo le nostre attività quotidiane.

Solo 5 minuti al giorno di mindfulness e heartfulness e gli scenari diventeranno molto più nutrienti e rinforzanti, il corpo sarà più attivo e leggero e la mente più agile e pronta… PROVARE PER CREDERE!

Fabiana Boccola

Empatia e “Neuroni Specchio”: le Basi dell’Apprendimento Emotivo

“Provare empatia, mostrare un atteggiamento empatico, devi essere empatico…”: quante volte i formatori hanno sentito consigli o sollecitazioni in tal senso?

Nel decalogo delle caratteristiche di un formatore questa capacità ritengo sia posizionata molto in alto. Ho voluto allora ripercorrere la storia di questa concetto/capacità, ed
ecco cosa ho trovato. Innanzitutto alcune definizioni di empatia (em-in; pathos – sentimento) che mi hanno molto colpito:

per Karl Jaspers

“quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri, secondo le regole della logica, allora comprendiamo queste relazioni razionalmente; quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico”;

per George H. Mead

“l’empatia richiede un assetto ricettivo che consenta di entrare nel ruolo dell’altro, per valutare il significato che la situazione che evoca l’emozione riveste per l’altra persona, nonché l’esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime”;

per Carl Rogers, nel rapporto terapeutico

“la comprensione non avviene a livello “gnosico”, ma “patico”, dove determinate emozioni che non appartengono ai propri vissuti possono essere valutate per estensione delle proprie esperienze”;

per Maurizio Stupiggia

“l’empatia è l’accesso al flusso vitale ed esperienziale delle altre persone, è un costante lavoro di ricerca e adattamento delle proprie esperienze al materiale che l’altro ci offre”.

Anche la neurofisiologia, poi, ci viene in aiuto per dare una base scientifica al concetto di risonanza emotiva, tramite una grande scoperta fatta da un team di ricercatori
italiani (Fogassi, Rizzolatti e Gallese): i neuroni specchio. Si tratta di neuroni specifici localizzati nel cervello che si attivano sia quando si compie un’azione, sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri: i neuroni cioè dell’osservatore rispecchiano il comportamento dell’osservato, come se stesse compiendo l’azione lui stesso (vedere non è, quindi, solo registrare passivamente comportamenti, ma già da subito simularli a livello pre-conscio).

I ricercatori hanno ipotizzato che la vista del viso altrui che esprime un’emozione attiva nell’osservatore gli stessi centri cerebrali che si attivano quando è lui stesso ad avere quella specifica reazione emotiva e hanno cercato di verificarne la validità. Quindi il meccanismo dei neuroni specchio incarna sul piano neurale quella modalità del comprendere che, prima di ogni mediazione concettuale e linguistica, dà forma alla nostra esperienza degli altri.

Ma il teatro lo sapeva da tempo: infatti secondo Peter Brook (regista e drammaturgo britannico) con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze hanno cominciato a capire quello il teatro sapeva da sempre. Infatti il lavoro dell’attore sarebbe vano se egli non potesse condividere, al di là di ogni barriera linguistica o culturale, i suoni e i
movimenti del proprio corpo con gli spettatori, rendendoli parte di un evento che loro stessi debbono contribuire a creare. Su questa immediata condivisione il teatro avrebbe costruito la propria realtà e la propria giustificazione, ed è a essa che i neuroni specchio, con la loro capacità di attivarsi sia quando si compie un’azione in prima
persona sia quando la si osserva compiere dagli altri, verrebbero a dare base biologica.

Collegando questi concetti alla formazione possiamo quindi “scientificamente”  risuonare insieme all’altro, cogliendo, empaticamente, l’essenza dell’esperienza emotiva vissuta dalle persone in apprendimento, inscindibile dall’esperienza logico-razionale.

Fabiana Boccola

La Legge dello Specchio

“Specchio specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?”, questa frase risuona in ognuno di noi, perché appartiene alla co-protagonista di una fiaba molto famosa, e attiva il bisogno di bellezza, un anelito molto umano che muove pianeti interiori ed esteriori.

La matrigna di Biancaneve però non conosceva la lettura emozionale e trasformatrice – chiedo scusa ai Fratelli Grimm – chiamata appunto Legge dello Specchio che, se compresa e assimilata, ci permette di essere i protagonisti del nostro ambiente interno ed esterno. Gli specchi tradizionalmente rimandano l’immagine di chi si pone davanti, ma quale immagine? Quella esteriore relativa alla percezione di sé che ognuno di noi ha e che quindi è altamente soggettiva e variabile nel tempo (anche se il nostro ego ci fa credere che sia immutabile)? O quella interiore legata ai nostri sentimenti e desideri – vi ricordate di un altro specchio magico molto famoso, quello di Harry Potter che mostra quello che si brama più profondamente nel cuore – che ci commuove ed emoziona? Lo Specchio ci direbbe “la realtà che vivi esteriormente è un tuo riflesso, puoi conoscere il tuo cuore guardando quello che ti succede nella vita”.

E questo cosa significa concretamente? Cominciamo ad osservare persone e situazioni vicine a noi e chiediamoci cosa ci raccontano di noi. Se le percepiamo negative e pesanti
e facciamo la cosa più “semplice” – giudichiamo e allontaniamo – pensando che a volte il destino è “cinico e baro”, nulla cambierà veramente e mi ritroverò a vivere esperienze simili, con finali prevedibili e scontati. Metaforicamente continueremmo a fare questa cosa davvero bislacca: guardarsi allo Specchio, vedere il proprio viso sporco, e pulire lo Specchio – non lavarsi la faccia come onestamente e semplicemente dovremmo fare!

Quindi è davvero importante cominciare a ringraziare lo Specchio delle realtà che percepiamo e viviamo come Guida per trasformare la nostra energia, i nostri pensieri e le nostre emozioni, permettendo alla nostra bellezza vera e profonda di risplendere esteriormente, luminosa e delicatamente abbagliante.

Fabiana Boccola

Emozioni, Memoria e Apprendimento: Quali Connessioni?

Da tempo gli studiosi delle neuroscienze ci confermano che le emozioni sono implicate in tutte le attività della mente: “tutti i processi di elaborazione delle informazioni sono basati sull’emozione, nel senso che l’emozione è l’energia che dirige, organizza, amplifica e modula l’attività cognitiva, e a sua volta costituisce l’esperienza e l’espressione di tale attività”.

Le emozioni giocano un importante ruolo nei processi cognitivi legati alla memoria, in quanto la forza dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi/esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto vengono catalogati nella nostra mente come “importanti”
(attraverso il coinvolgimento di strutture cerebrali che fanno parte del sistema limbico, come l’amigdala e la corteccia orbito-frontale) e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati. Inoltre la ripetitività ha un impatto sui circuiti neuronali, favorendo il sedimentarsi delle esperienze di apprendimento. La memoria si può definire come la capacità di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri, ed è inoltre implicata nelle funzioni mentali dell’attenzione, della percezione, dell’apprendimento, della regolazione emozionale, etc.

Da un punto di vista funzionale si possono distinguere tre tipi di memoria, che rappresentano anche gli stadi temporali dell’elaborazione mnestica: la memoria (o registro) sensoriale, la memoria a breve termine (MBT) e la memoria a lungo termine (MLT). Non mi soffermerò sulla descrizione dei vari tipi di memoria, ma sul fatto che “ricordare” non significa semplicemente richiamare alla mente la registrazione ordinaria di un informazione, in quanto “il ricordo è il risultato della costruzione di un nuovo profilo di eccitazione neuronale, che presenta caratteristiche proprie dell’engramma iniziale ma anche elementi della memoria derivati da altre esperienze, e che risente delle influenze esercitate dal contesto e dallo stato della mente in cui ci troviamo nel presente”, quindi il cervello interagisce con il mondo e registra le diverse esperienze in modo tale per cui gli avvenimentipassati influiranno in modo diretto su come e che cosa impariamo, anche se di tali avvenimenti non necessariamente abbiamo un ricordo conscio.

Inoltre gli studiosi ci dicono che la memoria è stato-dipendente e che la riattivazione di ricordi espliciti è facilitata quando le condizioni in cui ci troviamo sono simili – in termini di mondo fisico (immagini, suoni, odori) o interiore (stati della mente, emozioni, modelli mentali) – a quelli che erano presenti al momento della registrazione ordinaria.

Da tutto ciò deriva l’importanza fondamentale per il formatore di facilitare l’apprendimento tramite la creazione di condizioni di contesto che favoriscano una partecipazione emotiva di livello medio-alto, progettando ad esempio laboratori formativi esperienziali favorenti la multisensorialità, l’espressione e la creatività corporea, l’utilizzo di un linguaggio analogico e metaforico (pensiamo alle possibilità evocative della narrazione cinematografica, alla potenza delle storie e delle favole) e tanto altro per inscrivere il processo di ritenzione delle informazioni nel corpo, nella mente e nel cuore delle persone.

Fabiana Boccola

Emozioni di Moda

Cosa sono le emozioni? Se ne parla, se ne scrive, si sentono, ma non si sa più come gestirle, come scoprirne la bellezza e goderne l’intensità. Quando chiediamo ad una persona  “come stai?” ci sentiamo spesso rispondere in modo affrettato e superficiale “bene” mentre ci accorgiamo che tutto il corpo e la voce stessa vibrano suonando un accordo diverso da quel laconico “bene”.

Cosa succede? Non vogliamo esporci, non vogliamo raccontare cosa avviene dentro di noi, non vogliamo ascoltarci, tutto questo e forse altro. Il risultato è spesso la creazione di un’abitudine a non riconoscere più cosa sentiamo, creando dei blocchi che il nostro corpo mostrerà, perdendo la sua capacità di movimento libero, di espressività e creatività. In questo momento socio-culturale le emozioni più in voga sono la paura e la rabbia, anche se è difficile ammetterlo, mentre l’amore e la felicità sono diventate utopiche, lontane, irraggiungibili, ma dentro di noi premono e cercano espressione.

Allora cominciamo ad affrontare con coraggio la paura e la rabbia che ci chiedono di cambiare qualcosa nella nostra vita e andiamo fiduciosi verso l’amore, la gioia, la passione, hanno tutte diritto di cittadinanza e pensare di escluderne qualcuna significa condannarsi ad una vita a metà. Il nostro cervello è un potentissimo computer composto da due fenomenali hard disk strettamente interconnessi: l’emisfero sinistro e l’emisfero destro, l’uno dedicato al pensiero logico-razionale e l’altro dedicato alle emozioni, alla creatività, al pensiero analogico e simbolico. Insieme rendono l’essere umano una splendida creatura, in grado di assaporare la vita nel qui e ora, di sentire e intuire ciò che veramente è utile e buono per se stessi e per gli altri, il corpo e il pensiero diventano flessibili, creativi, in movimento, in grado di affrontare il cambiamento e di renderlo evolutivo.

Il corpo non mente e le emozioni abitano nel corpo, ascoltiamole, pensiamole, gestiamole e facciamole diventare di moda.

Fabiana Boccola

Counseling Aziendale e Intelligenza Emotiva: Il Primo Passo

La pratica del Counseling, oggi, abbraccia molti settori riguardanti la relazione d’aiuto attraverso un tipo di intervento non direttivo, volto a sviluppare nel soggetto un determinato grado di autonomia e responsabilizzazione. Specificatamente ha una funzione di sostegno e individuazione di condizioni affinché la persona possa trovare da sola la soluzione al suo “problema”, partendo dal riconoscere cosa prova in determinate situazioni, quali sono le sensazioni che emergono a livello corporeo (che colore hanno, che forma hanno, che peso hanno, che suono fanno, ecc.) e dove sono localizzate nel corpo, per poi focalizzarsi sui pensieri che scorrono nella propria mente (approccio olistico, mirato a ricreare la connessione fra corpo e mente).

Questo processo è imprescindibile nell’innescare poi un meccanismo di consapevolizzazione del “qui e ora” e di scoperta creativa di possibili vie d’uscita dall’impasse emotiva. Perché di impasse emotiva si tratta, sempre, anche se stiamo operando come Counselor in azienda, un ambito lavorativo in cui può ancora esistere la credenza che la “tecnica” sia condizione unica e sufficiente a svolgere al meglio la propria attività professionale. Pensate ad affermazioni tipo “cosa c’entrano le emozioni nel lavoro?, “bisogna essere professionali, qui, le emozioni lasciamole a casa!”, “mi hanno insegnato a mostrarmi freddo e a focalizzarmi sull’obiettivo da raggiungere, in qualunque modo”, credo che molti  altri esempi simili possano riecheggiare dalla nostra memoria. Trattare in maniera esauriente di emozioni e sentimenti implicherebbe una lunga dissertazione, qui vorrei focalizzarmi sul primo passo fondamentale da compiere per innescare il processo virtuoso di gestione delle emozioni: accettare tutte le emozioni, anche quelle che cognitivamente definiamo “negative” e che costituiscono la nostra “Ombra”. Riporto le parole di Carl Gustav Jung in merito:

«Con Ombra intendo la parte “negativa” della personalità, la somma cioè delle qualità svantaggiose che sono tenute possibilmente nascostee anche la somma delle funzioni difettosamente sviluppate e dei contenuti dell’inconscio personale»¹

Potremmo definire, semplificando, l’Ombra come il nostro Lato Oscuro (provate a pensare alla bellissima trilogia di George Lucas “Guerre Stellari” e al famosissimo “lato oscuro della forza”), cioè qualsiasi cosa (emozione, pensiero, sentimento, giudizio, credenza) che eliminiamo dalla mente conscia, ma che si attiva nell’inconscio e ci segue, appunto, come un’ombra. E’ il contenitore delle nostre emozioni represse e sappiamo che tutto ciò che reprimiamo in noi ci comanda perché non riusciamo ad accettarlo e quindi a vederne il valore positivo: la rabbia è energia, è difesa dei propri diritti e di quelli degli altri, la tristezza permette di allontanarci da qualcosa o qualcuno scaricando lo stress, per poter rigenerarci e ripartire, ecc.

Per capire quali emozioni e comportamenti rifiutiamo possiamo farci aiutare dagli “altri”, quelli che “non sopportiamo”, che fanno o dicono qualcosa che veramente ci  innervosisce: ma come posso farmi aiutare da qualcuno che vorrei eliminare dalla mia sfera relazionale? Riconoscendo che la responsabilità delle nostre emozioni è solo nostra, l’altro ci fa semplicemente da trigger, ci innesca, ma questo può succedere solo perché esiste una nostra causa interna da riconoscere accogliere, elaborare, per poter veramente sviluppare la nostra intelligenza emotiva. Quindi accettiamo quello che stiamo provando, chiediamoci cosa c’è nell’altro che mi ricorda situazioni e sentimenti
“negativi”, torniamo indietro nella nostra memoria, riviviamo situazioni dolorose, e comprendiamo profondamente che ora possiamo fare di meglio, che abbiamo le risorse per poter integrare la nostra Ombra, ringraziandola di ciò che ci ha mostrato, ampliando la nostra capacità di percezione delle nostre emozioni e di com-passione verso l’altro.

Questo significa accettare ciò che sentiamo, per sviluppare la nostra capacità di osservazione e riflessione e attivare nuove risorse emotive, cognitive e comportamentali tali da permetterci di essere veri professionisti della relazione comunicativa, empatici, assertivi, competenti nello stare in gruppo e nel guidare un gruppo, leader di se stessi, prima che di altri, in azienda e in altri contesti di vita.

Fabiana Boccola

¹ Jung C.G. (1943), Psicologia dell’inconscio, tr. it. in. Opere, Vol VII°, Boringhieri, Torino 1983.