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Allarga la visuale e comunica ciò che sei!

Basta con i corsi che ti promettono di imparare a decodificare i microsegnali del viso dell’altro, vanno bene per le serie televisive, tipo “Lie to me”, ma non per la vita di tutti i giorni, quella vera che non è quella dei professionisti della polizia impegnati a scovare bugie e inganni in nome della giustizia umana.

Un effetto di questa eccessiva attenzione al particolare che viene analizzato decodificato e interpretato porta ad una disconnessione fra mente e corpo.

Se analizzo con la mente, utilizzo una mappa che non coinciderà mai con il territorio (la cartina geografica non è il paesaggio attraverso il quale sto guidando o passeggiando), come cita il filosofo Alfred Korzybski, quindi mi focalizzerò sull’altro per scinderlo, scomporlo adattarlo alla mia mappa mentale, decidere cosa posso ottenere da questa relazione e quindi adattare il mio comportamento in ragione dei miei obiettivi.

Che ne dite? Quale è il vantaggio secondo voi? E quali le controindicazioni?

Il vantaggio è pensare di sentirsi al sicuro da errori e incomprensioni e di credere di riconoscere e poter controllare le mille sfumature dell’altro, ergo, ottimo per gli insicuri e i troppo sicuri di sè.

La controindicazione è una sola: perdersi la luminosità e ricchezza unica e particolare che emana da una comunicazione fra esseri umani, cangiante e multilivello.

Cosa porta invece ad allargare la visuale e ad imparare da ogni relazione in qualunque momento?

Esserci totalmente, accogliendo i movimenti interiori in connessione con l’altro, dicesi atteggiamento empatico di cui siamo già dotati alla nascita, modulando momento per momento la nostra comunicazione, le nostre parole e le nostre azioni, non in base a ciò che vediamo ma a ciò che sentiamo insieme.

Allarga la visuale, incontra l’altro come fosse la prima volta, come un funambolo o un surfista, competenti, preparati, allenati e nello stesso tempo totalmente presenti a se stessi, pena il cadere da una grande altezza o farsi travolgere dalle onde!

Fabiana Boccola

La Comunicazione Agita

Vi presento i 5 Modelli epistemologici di PensieroAzione elaborati da Jerome Liss, una persona
molto speciale. A voi i commenti al termine della lettura!

  • Modello n. 1 Teoria e Fatti elaborato sulla base delle riflessioni proposte dal filosofo della
    scienza Carl Hempel, secondo il quale è importantissimo sostenere le teorie, le opinioni, le
    interpretazioni, con fatti documentati, esempi e vissuto concreto, in modo da rendere il
    dialogo una specie di “competizione positiva” – un’applicazione pratica di questo modello è
    la ricerca dell’integrazione continua fra fatti concreti e concetti interpretativi (opinioni,
    spiegazioni, ipotesi). A questo punto Jerome definisce i concetti radicati nella realtà come
    “concetti operativi” e suggerisce che anche quando elaboriamo un pensiero libero,
    speculativo, originale e immaginativo è importante che almeno alcune dei nostri concetti-
    base siano accompagnati da prove di sostegno, rafforzando la connessione con la realtà;
  • Modello n. 2 Analisi Vantaggi-Svantaggi dell’Azione che risponde alle domande: “come
    possiamo difendere le nostre idee e opinioni? e come possiamo valutare le idee e opinioni
    degli altri?”. Utilizzando questo modello le azioni non saranno più valutate secondo la
    categoria “giusto o sbagliato”, ma secondo criteri più dinamici, come l’analisi dei vantaggi e
    degli svantaggi presenti secondo i diversi punti di vista, con attenzione alla dimensione
    temporale di impatto dell’azione stessa (breve/lungo termine);
  • Modello n. 3 Dall’Astratto alla Concretezza che ci ricorda quante volte nelle discussioni
    l’insoddisfazione nasce dalla tendenza delle persone a parlare in un modo troppo astratto,
    vago, nuvoloso e ci propone come modalità di comunicazione quello di favorire sempre il
    passaggio dalle intenzioni generali alla definizione concreta di un progetto (chi?, fa cosa?,
    dice che cosa?, quando?, dove? con chi?, etc…) familiare, amicale, organizzativo, ludico,
    etc;
  • Modello n. 4 il Messaggio Dato è Diverso dal Messaggio Ricevuto, che ci sollecita a
    comprendere che la comunicazione interpersonale distingue il messaggio offerto dal
    messaggio ricevuto, ricordandoci che difficilmente saranno totalmente congruenti (ogni
    persona è un microcosmo sconosciuto, con filtri, credenze ed esperienze differenti, un
    “territorio” da esplorare), da cui possono per questo discendere possibili malintesi, conflitti,
    distorsioni. La soluzione proposta dall’autore è legata alla capacità dei “dialoganti” di
    colmare il divario fra “l’intenzione” e “l’impatto” di un messaggio attraverso la
    “metacomunicazione”, che chiarisca la comunicazione offerta, aiutando a riparare nel
    contempo le incomprensioni (“volevo intendere questo…” “avevo capito un’altra cosa,
    grazie di avermelo chiarito…” sono solo alcune frasi, esempio di come si possano risolvere
    ambiguità e fraintendimenti risparmiandoci emozioni trattenute e giudizi negativi sull’altro e
    su ciò che sta dicendo);
  • Modello n. 5 la Coesistenza di Punti di Vista Diversi, secondo il quale un dialogo in cui
    ognuno possa offrire la propria esperienza favorisce l’ascolto e l’accettazione delle diversità
    (importante bandire frasi del tipo: “Questa è la verità!!, “questa è l’unica strada giusta!”, “io
    ho ragione”, etc…).

Cinque modelli di pensiero-azione, che ridonano al mondo della comunicazione Fiducia, Rispetto e
Trasparenza nella relazione, qualità quanto mai importanti in questo contesto storico e sociale.

Fabiana Boccola

Counseling Aziendale e Intelligenza Emotiva: Il Primo Passo

La pratica del Counseling, oggi, abbraccia molti settori riguardanti la relazione d’aiuto attraverso un tipo di intervento non direttivo, volto a sviluppare nel soggetto un determinato grado di autonomia e responsabilizzazione. Specificatamente ha una funzione di sostegno e individuazione di condizioni affinché la persona possa trovare da sola la soluzione al suo “problema”, partendo dal riconoscere cosa prova in determinate situazioni, quali sono le sensazioni che emergono a livello corporeo (che colore hanno, che forma hanno, che peso hanno, che suono fanno, ecc.) e dove sono localizzate nel corpo, per poi focalizzarsi sui pensieri che scorrono nella propria mente (approccio olistico, mirato a ricreare la connessione fra corpo e mente).

Questo processo è imprescindibile nell’innescare poi un meccanismo di consapevolizzazione del “qui e ora” e di scoperta creativa di possibili vie d’uscita dall’impasse emotiva. Perché di impasse emotiva si tratta, sempre, anche se stiamo operando come Counselor in azienda, un ambito lavorativo in cui può ancora esistere la credenza che la “tecnica” sia condizione unica e sufficiente a svolgere al meglio la propria attività professionale. Pensate ad affermazioni tipo “cosa c’entrano le emozioni nel lavoro?, “bisogna essere professionali, qui, le emozioni lasciamole a casa!”, “mi hanno insegnato a mostrarmi freddo e a focalizzarmi sull’obiettivo da raggiungere, in qualunque modo”, credo che molti  altri esempi simili possano riecheggiare dalla nostra memoria. Trattare in maniera esauriente di emozioni e sentimenti implicherebbe una lunga dissertazione, qui vorrei focalizzarmi sul primo passo fondamentale da compiere per innescare il processo virtuoso di gestione delle emozioni: accettare tutte le emozioni, anche quelle che cognitivamente definiamo “negative” e che costituiscono la nostra “Ombra”. Riporto le parole di Carl Gustav Jung in merito:

«Con Ombra intendo la parte “negativa” della personalità, la somma cioè delle qualità svantaggiose che sono tenute possibilmente nascostee anche la somma delle funzioni difettosamente sviluppate e dei contenuti dell’inconscio personale»¹

Potremmo definire, semplificando, l’Ombra come il nostro Lato Oscuro (provate a pensare alla bellissima trilogia di George Lucas “Guerre Stellari” e al famosissimo “lato oscuro della forza”), cioè qualsiasi cosa (emozione, pensiero, sentimento, giudizio, credenza) che eliminiamo dalla mente conscia, ma che si attiva nell’inconscio e ci segue, appunto, come un’ombra. E’ il contenitore delle nostre emozioni represse e sappiamo che tutto ciò che reprimiamo in noi ci comanda perché non riusciamo ad accettarlo e quindi a vederne il valore positivo: la rabbia è energia, è difesa dei propri diritti e di quelli degli altri, la tristezza permette di allontanarci da qualcosa o qualcuno scaricando lo stress, per poter rigenerarci e ripartire, ecc.

Per capire quali emozioni e comportamenti rifiutiamo possiamo farci aiutare dagli “altri”, quelli che “non sopportiamo”, che fanno o dicono qualcosa che veramente ci  innervosisce: ma come posso farmi aiutare da qualcuno che vorrei eliminare dalla mia sfera relazionale? Riconoscendo che la responsabilità delle nostre emozioni è solo nostra, l’altro ci fa semplicemente da trigger, ci innesca, ma questo può succedere solo perché esiste una nostra causa interna da riconoscere accogliere, elaborare, per poter veramente sviluppare la nostra intelligenza emotiva. Quindi accettiamo quello che stiamo provando, chiediamoci cosa c’è nell’altro che mi ricorda situazioni e sentimenti
“negativi”, torniamo indietro nella nostra memoria, riviviamo situazioni dolorose, e comprendiamo profondamente che ora possiamo fare di meglio, che abbiamo le risorse per poter integrare la nostra Ombra, ringraziandola di ciò che ci ha mostrato, ampliando la nostra capacità di percezione delle nostre emozioni e di com-passione verso l’altro.

Questo significa accettare ciò che sentiamo, per sviluppare la nostra capacità di osservazione e riflessione e attivare nuove risorse emotive, cognitive e comportamentali tali da permetterci di essere veri professionisti della relazione comunicativa, empatici, assertivi, competenti nello stare in gruppo e nel guidare un gruppo, leader di se stessi, prima che di altri, in azienda e in altri contesti di vita.

Fabiana Boccola

¹ Jung C.G. (1943), Psicologia dell’inconscio, tr. it. in. Opere, Vol VII°, Boringhieri, Torino 1983.